Leggere al tempo di internet

Il generico problema dello “studiare al computer” porta con sé alcune domande solo apparentemente banali. Cosa vuol dire, in realtà, “leggere”? Cosa facciamo, realmente, quando studiamo? Che cosa è effettivamente un computer, o meglio il suo monitor, che è l’interfaccia con la quale comunichiamo con lui (ovvero lui comunica con noi)?

Una delle obiezioni più forti alla reale diffusione dell’impiego dei computer nella didattica è che “non si può studiare al computer”

Libro, testo, pagina e foglio

Il libro tradizionale va studiato con attenzione perché se è rimasto immutato per oltre cinquecento anni significa che assolve in modo adeguato alle sue funzioni. La tesi che intendo sviluppare è che una parte del suo duraturo successo si basa sul fatto che esso rispetta e anzi sfrutta fino in fondo le leggi gestaltiche della percezione.

Nell’oggetto-libro possiamo distinguere tre aspetti: il testo, la pagina e il foglio.

Chiamo “testo” l’insieme delle proposizioni in cui si articola il discorso; è il complesso dei significati che vengono trasmessi attraverso gli enunciati che l’autore ha formulato scrivendoli uno dopo l’altro per realizzare un ragionamento, una descrizione, un sentimento. Il testo idealmente fluisce dall’inizio alla fine in un tutto unico (o, al massimo, con le macro-segmentazioni previste dal suo autore che lo ha articolato in capitoli e paragrafi).

La “pagina” è ciò che viene fisicamente percepito del testo: una singola frazione del testo organizzata secondo uno schema percettivo chiuso. È l’insieme della parole che possono essere stampate sulla facciata di un foglio e che per ciò stesso vengono staccate e isolate sia dalle parole stampate sulle facciate precedenti e successive, sia dallo sfondo percettivo costituito per esempio dalla scrivania su cui il libro è appoggiato, piuttosto che dalle pareti della stanza (se tengo il libro a livello degli occhi). La pagina rappresenta graficamente un “blocco” rettangolare di parole, orientate quasi sempre in senso verticale, che vanno lette rigorosamente in un senso solo (da sinistra a destra e dall’alto verso il basso, nel mondo occidentale).

Il “foglio” infine è il supporto fisico cartaceo su cui vengono disposti i segni grafici.

Ssalvo casi eccezionali, quindi, il testo non è mai compreso in un unico foglio1

Come si muovono gli occhi su un foglio stampato?

In teoria, un qualsiasi testo “gutemberghiano” obbliga (dovrebbe obbligare) l’occhio a un percorso univoco e lineare, da sinistra a destra e dall’alto in basso, simile alla scansione di un pennello elettronico che esplori una superficie. Io non so se sono stati effettuati studi sperimentali sul movimento dei bulbi oculari di un soggetto immerso nella lettura di un libro. Sarebbe molto interessante fare un raffronto con quelli realizzati da Nielsen sui movimenti oculari dell’utente di siti intenet. Già nel 1997, alla domanda “How do people read on internet?” la risposta di Nielsen era: “They don’t”: le persone sulla Rete “non leggono”, perlomeno non leggono nel senso tradizionale del termine.

Questa constatazione empirica fa nascere evidentemente molte perplessità sulla possibilità di usare i mezzi informatici come strumenti didattici efficaci, dal momento che qualsiasi insegnante si aspetta che lo studente legga e studi tutti i contenuti della pagina, e non solo alcuni, o perlomeno si aspetta che i contenuti che vengono memorizzati siano scelti in base criteri logici e contenutistici.

Resta, anche a livello vissuto e percepito, un atteggiamento diverso nei confronti dello schermo e della carta stampata

Alcune considerazioni legate alla Gestalt

Lo schermo del computer è a sviluppo orizzontale, la pagina a sviluppo verticale (anche se le proporzioni approssimativamente sono le stesse): di conseguenza la pagina sul monitor tende a dilatarsi verso destra anziché verso il basso.

Questo è dovuto non solo all’origine tecnica del monitor (che nasce dalla primitiva tecnologia dei televisori) ma anche (nei portatili) alla necessità di avere una tastiera piuttosto larga (lo sviluppo in larghezza piuttosto che in altezza della tastiera è a sua volta dovuto alla necessità di offrire quante più tasti possibili alle dita, e questo fatto mi pare conclusivo)

Infine, il monitor è luminoso (come il televisore) e risplende di luce propria. Questa caratteristica, unita all’effetto linea chiusa, isola e stacca i contenuti che appaiono all’interno rendendoli letteralmente “cose di un altro mondo”, qualitativamente diverse dagli oggetti che stanno a lato del monitor (o della televisione). Lo spettatore / utente o è nel mondo delimitato dalla linea chiusa del monitor o è fuori. La consistenza ontologica dei mondi virtuali, la loro credibilità e la loro capacità di persuasione si basano su questa dinamica.

Questa “differenza ontologica” serve forse a spiegare la difficoltà percepita nello studiare a computer. Lo “studio” infatti è una serie di operazioni che hanno lo scopo di interiorizzare i contenuti che devono “diventar propri” della coscienza che sta studiando.

L’interiorizzazione si avvale di una serie di pratiche, tra cui le più diffuse e comuni sono:

  1. la ripetizione mnemonica dei vocaboli o delle frasi,

  2. la sostituzione di parole complesse con altre più semplici o con le loro definizioni,

  3. la individuazione delle parti del discorso meno significative,

  4. la sottolineatura del testo,

  5. la sua parziale riscrittura su un foglio a parte.

Il foglio di carta presenta già un effetto di linea chiusa che “raccoglie in unità” e fa esistere, staccandola dallo sfondo e dal contesto, l’entità “pagina”. Tuttavia esiste anche una continuità “fisica” tra il foglio e gli altri oggetti che posso toccare e che si accampano accanto al foglio. Io tocco il foglio di carta nello stesso modo con cui tocco la matita o il tavolo: si tratta di una percezione diretta, letteralmente “sulla punta delle dita”. La mia capacità di interagire col foglio di carta è la stessa che ho di interagire con qualsiasi altro oggetto: lo prendo in mano, lo giro, lo piego, ci scrivo sopra, lo sottolineo.

Il testo elettronico invece ha bisogno dell’intermediazione della macchina (viene generato in tempo reale dal software) che a sua volta ha bisogno della tastiera per essere comandata e guidata. Due livelli di mediazione, quindi, che rendono il rapporto con il testo elettronico molto più astratto e “cervellotico” di quanto non sia quello con il testo su una pagina di carta.

La pagina (intesa come l’insieme dei segni grafici, di solito neri, organizzati secondo un certo schema grafico) finisce per coincidere con il foglio e per essere confuso con esso: su un foglio esiste una e una sola pagina del testo (l’insieme dei significati veicolati dai segni grafici della pagina). Il testo assume la stessa consistenza della pagina e sembra coincidere quindi con la somma dei fogli: il numero dei fogli “visualizza” in modo immediato il numero delle “pagine” di cui è composto il testo.

Il libro come supermappa

L’oggetto fisico (il libro costituito da fogli di carta) acquista in modo inaspettato, grazie alla sua consistenza ontologica, delle caratteristiche particolari: per esempio diventa esso stesso una sorta di “mappa” e di “simbolo” dell’oggetto non fisico che contiene (il testo inteso come insieme di significati articolati in proposizioni, ragionamenti e/o discorsi di vari generi).

La posizione della pagina nella sequenza dell’oggetto “libro”, infatti, ci fornisce già un’indicazione del ruolo che gioca la pagina all’interno del testo: ci aspettiamo per esempio che nelle prime pagine ci sia una “introduzione” al tema che verrà trattato in seguito, mentre nelle ultime ci sarà una conclusione. Le premesse di un ragionamento dovranno essere pubblicate in una pagina precedente a quella in cui viene presentata la conclusione; viceversa, se un certo passaggio appare su una certa pagina, noi abbiamo già un forte indizio per supporre che ciò che incontreremo nella pagina successiva sia una conseguenza di quello che stiamo leggendo sulla pagina di prima. Un libro in formato tascabile e con poche pagine verrà a colpo d’occhio pre-compreso come un testo semplice e relativamente poco complesso, mentre un massiccio e pesante tomo verrà istintivamente considerato con un po’ di apprensione e di diffidenza come un “mattone” di difficile interpretazione.

Dal punto di vista dello studio questa funzione di “supermappa” gioca un ruolo importante quando si tratta di memorizzare la struttura a grandi linee del testo: ricordarsi se un certo passaggio o anche un certo capitolo si trova all’inizio del libro piuttosto che in mezzo o alla fine aiuta a ricostruire il ruolo che il testo in esso contenuto svolge all’interno dell’opera nel suo complesso.

Tutto ciò manca al testo nel formato elettronico (e a maggior ragione all’ipertesto elettronico), dato che esso è accessibile solo attraverso la “finestra” rappresentata dal monitor, che rimane sempre uguale a se stessa e che non fornisce alcuna indicazione sull’importanza e sulla consistenza del testo che sta visualizzando. È impossibile, dall’osservazione del monitor, sapere se siamo di fronte a un testo lungo o breve, se siamo all’inizio o alla fine, quanto manca al termine.

Negli ipertesti si è cercato di ovviare almeno in parte a questo problema con il sistema delle “briciole di pane” (pathcrumble), una funzionalità in grado di indicare per ciascuna pagina web la sua posizione all’interno della struttura ad albero dell’ipertesto.

Tuttavia questo sistema è ancora troppo povero di informazioni, dato che non fornisce alcuna indicazione sul rapporto tra la pagina web attiva e le altre pagine web potenzialmente collegabili ad essa.

Il testo scorre, i fogli no

La segmentazione imposta dalla struttura dell’oggetto libro (in quanto composto di fogli) non è assoluta e non è nemmeno prevalente. Il testo è un tutto continuo, che “scorre” idealmente con la stessa fluidità del discorso parlato.

Le pagine trapassano le une nelle altre anche solo per il fatto che il discorso che si sta svolgendo nelle ultime righe del foglio si completa nel foglio (o nella facciata) successiva, e ciò ci spinge a girare i fogli per avere sotto gli occhi le conclusione del discorso.

I fogli invece rappresentano dal punto di vista percettivo delle discontinuità perché sono oggetti chiusi in se stessi, che di per sé non rimandano ad altro. È il testo che si srotola da un foglio all’altro e che in qualche modo “tiene legati” i fogli insieme.

Questa contrapposizione tra la scorrevolezza del testo e la segmentazione dei fogli scompare o almeno tende a scomparire quando il testo viene presentato in formato elettronico.

Lo schermo del monitor non coincide con il foglio di carta perché su di esso non solo può apparire un numero illimitato di pagine, ma soprattutto perché il passaggio da quello che nel libro tradizionale è una pagina alla pagina successiva non c’è: la medesima superficie, il medesimo “oggetto”, viene abitato senza soluzione di continuità dal testo che scorre in modo continuativo.

Il testo, si dice anche significativamente a livello di linguaggio corrente, “scorre” dal basso verso l’alto in modo continuo e uniforme, una caratteristica sfruttata e amplificata da artifici tecnici come la rotellina dello scroller sui mouse. La “pagina” nel senso tradizionale del termine tende a scomparire. È perfettamente ipotizzabile la possibilità di far scivolare in modo uniforme e continuo nella “finestra” percettiva rappresentata dal monitor un testo anche molto lungo (possibilità resa reale da una specifica funzione di alcuni programmi come Acrobat Reader) Si potrebbe dire che nel monitor esiste solo il testo, non la pagina (oppure, se proprio si vuole, che nel monitor esiste una sola pagina lunga quanto il testo)

L’identità tra “foglio” e “pagina” quindi è rotta perché un unico “foglio” elettronico (ossia il monitor) può ospitare l’equivalente di infinite “pagine” cartacee. L’oggetto che abbiamo davanti non può più fungere da guida, da mappa, da modello per il testo che contiene.

Mancando la discontinuità, per quanto debole, del foglio che deve essere girato per proseguire la lettura, il testo tende a ritornare al “volumen” degli antichi, ossia qualcosa che si srotola sotto i nostri occhi in modo continuo

Anche se gli editor di testo segnalano delle “interruzioni di pagina” , si tratta di stacchi puramente potenziali, dato che si limitano ad anticipare vagamente l’effetto che avrebbe la trascrizione del testo dalla versione elettronica a quella cartacea. Il testo elettronico è continuo e potenzialmente infinito.

Con un libro si può “voltare pagina”, con un computer no. In realtà infatti “voltare pagina” significa “voltare foglio”, ossia girare fisicamente uno dei componenti materiali dell’oggetto libro. La segmentazione fisica dell’oggetto libro si trasla in modo automatico al testo, che quindi risulta diviso in unità di senso (paragrafi/capitoli, in cui si svolgono e si compiono le argomentazioni del discorso) e in unità materiali (il supporto fisico rappresentato dalla pagina di carta).

La situazione è resa più complicata dal fatto che mentre sul foglio di carta possono trovare ospitalità solo segni grafici fissi (testi, immagini, grafici….) sul monitor possono apparire anche presentazioni dinamiche (filmati, presentazioni in PPT….) Ciascuno di questi oggetti, naturalmente, obbedisce a leggi percettive diverse.

1 Fanno eccezione alcuni oggetti particolari, come l’edizione della Divina Commedia di Dante pubblicata in caratteri piccolissimi su un unico grande foglio di circa un metro di larghezza per 80 cm di altezza.

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